domenica 22 novembre 2015

DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO- 2. INTERESSI INDIPENDENTISTI: DEMOCRATICI O IMPERIALISTI?


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Pubblichiamo la seconda puntata del "dialogo" tra Bazaar e Arturo su "DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO".
Il consiglio è di leggere (o rileggere) le varie puntate in continuità tra loro: riflessioni non banali e interrogativi maieutici ne possono sorgere.
Ribadiamo (e lo faremo anche nelle prossime puntate), la premessa introduttiva di questa lunga e articolata esposizione, che tende a mettere in discussione i presupposti, altrimenti scontati e inerziali, di molte formule ideologiche (naturalmente pop) del nostro presente, usate senza una seria capacità di riflessione storica e culturale:
"Fare, con una riflessione socio-economica e storico-istituzionale, il "punto-nave", non ci fornisce solo informazioni su come e perchè la rotta effettiva sia stata quella finora seguita, ma ci consente anche di capire quale rotta di "salvezza" potremmo (almeno) tentare di intraprendere."
Per taluni Marx e Engels potranno apparire punti di riferimento da scartare a priori: ma anche questo impulso non è un presupposto razionale utile e produttivo. 
Le forze della Storia (moderna) tendono, come si sa, a riproporsi nelle loro tendenze irresistibili: non sarà ignorandole a priori, e ignorando le analisi che hanno già rivelato in passato i medesimi errori oggi ricorrenti, che si potranno evitare le trappole e le facili schematizzazioni che stanno portano il mondo al disastro attuale...



1 - Da sinistra...
«È nell'Internazionale che l'indipendenza delle nazioni ha la sua massima garanzia; è nelle nazioni indipendenti che l'Internazionale trova i suoi strumenti più potenti e nobili. Si potrebbe quasi dire: un po' di internazionalismo allontana dalla patria, molto internazionalismo riconduce ad essa. Un po' di patriottismo allontana dall'internazionalismo, molto patriottismo riconduce ad esso.» Jean Jaurès.
Ci eravamo lasciati con un paio di domande: «ma come è possibile che il federalismo europeo sia da decenni bandiera politica e ipostatizzazione culturale di chi si dovrebbe richiamare storicamente alla lotte laburiste? Dove nasce questo fervore antinazionale»?

2 – Lumpenproletariat, autodeterminazione dei popoli... e imperialismo
Lasciamo la parola a Domenico Losurdo, con dedica della redazione ai compagni per cui “non-torniamo-agli-obsoleti-nazionalismi”, ricorda che (“La lotta di classe. Una storia politica e filosofica”, Roma-Bari, Laterza, 2013, s.p.): 
Agli inizi del novembre 1848 Marx paragona la tragedia che si sta consumando in Europa centro-orientale a danno del movimento democratico con quella pochi mesi prima abbattutasi sul proletariato parigino: 
«A Parigi la Guardia Mobile, a Vienna i ‘Croati’, in entrambi i casi lazzaroni, sottoproletariato armato e assoldato contro il proletariato lavoratore e pensante» (MEW, 5; 457). Dunque, le nazioni slave che si lasciano arruolare dall’impero asburgico sono paragonate al sottoproletariato, a una classe che, se anche per lo più si mette al servizio della reazione, può essere tuttavia guadagnata dal movimento rivoluzionario. E cioè non si tratta qui di riconoscere in astratto il diritto di ogni nazione all’autodeterminazione. Ciò è fuori discussione. Il problema risiede nel fatto che, in una situazione concreta e determinata, il diritto di alcune nazioni all’autodeterminazione, a causa anche dell’iniziativa e dell’abilità politica del potere imperiale, può entrare in conflitto col diritto di altre nazioni e con il movimento complessivo di lotta contro l’Antico regime e l’assolutismo monarchico e per la realizzazione della democrazia sul piano interno e internazionale. 

Cari marxisti (?) del “famo-l'Europa-aboliamo-gli-Stati-nazionali-e-accogliamo-senza-se-e-senza-ma-immigrati”, già nell'Ottocento, per Marx, era chiaro che le sovranità statali fossero oggetto di brame imperialistiche che mascheravano, dietro a proclami “buonisti”, torbide finalità per cui, non raramente, il sottoproletariato veniva «assoldato» dalle classi dominanti contro la classe lavoratrice.
In particolare, per quella “sinistra” – smemoratissima – per cui “attenzione-ad-uscire-dall'euro-altrimenti-salta-Schengen”, Losurdo ricorda che:
l’internazionalismo proletario può manifestarsi appoggiando movimenti di liberazione nazionale, che talvolta (nel caso della Polonia) vedono partecipare un fronte di lotta così ampio da poter includere persino la nobiltà, e un governo borghese (quello di Lincoln) impegnato a reprimere con la forza delle armi la secessione schiavista [e il liberoscambismo filobritannico dei latifondisti del Sud, ndr].”

3 – L'internazionalimo dell'indistinto e i “democratici imperiali”.
 A proposito dell'internazionalismo dell'indistinto della Sinistra 2.0 – in particolare a quella che si autodefinisce ossimoricamente “liberale” – riferendosi sempre al socialismo ortodosso, Losurdo aggiunge:
D’altro canto, essiccando una fonte essenziale della «ricchezza materiale» e della «forza morale» delle classi dominanti in Inghilterra, la «lotta nazionale irlandese» e l’«emancipazione nazionale dell’Irlanda» sono un essenziale contributo internazionalista all’«emancipazione della classe operaia» inglese (MEW, 32; 667-68). Come la lotta di classe, anche l’internazionalismo assume forme di volta in volta diverse.
Un «internazionalismo» che ignorasse questa diversità delle forme si rivelerebbe ingenuo o pericoloso. 
Alla vigilia della rivoluzione del 1848, Engels si fa beffe in questi termini di Louis Blanc che, dimentico dell’impero napoleonico e delle sue pratiche coloniali e semicoloniali, ama additare nel suo popolo l’incarnazione stessa del cosmopolitismo [come non pensare agli americani!, ndr]
«i democratici delle altre nazioni [...] non si accontentano dell’assicurazione, da parte francese, che essi sono già cosmopoliti; una tale assicurazione equivale a chiedere che tutti gli altri diventino francesi [o americani..., ndr]» (MEW, 4; 428). Non a caso, più tardi Blanc verrà bollato come un «democratico imperiale»[1], che invano assume pose da rivoluzionario [tipo gli “uscisti da sinistra”, ndr] (MEW, 31; 212-13). Se elude la questione nazionale e il compito realmente internazionalista dell’appoggio alle nazioni oppresse, il preteso cosmopolitismo o internazionalismo si rovescia in uno sciovinismo acritico ed esaltato.

È il punto di vista anche di Marx che, dopo essersi fatto beffe del «cinismo da cretino» esibito da Proudhon nei confronti dell’aspirazione della Polonia a scuotersi di dosso il giogo dell’impero russo, liquida come «stirnerianismo proudhonianizzato» la tesi secondo cui «ogni nazionalità e le nazioni in quanto tali» sarebbero dei «pregiudizi superati» (préjugés surannés). 
Si tratta di una lettera a Engels del 20 giugno 1866, che così prosegue:
[Ma non è fantastico? Marx avrebbe definito gli europeisti per cui “stato-nazionale-che-orrore-del-passato!” come degli  “stirneriani proudhonianizzati”... ma... non coglierebbero, non conoscendo né Marx, né Stirner, né Proudhon, ndr]
«Gli inglesi risero molto allorché iniziai il mio discorso osservando che l’amico Lafargue ecc., che ha abolito le nazionalità, si è rivolto a noi «in francese», cioè in una lingua che i 9/10 dell’uditorio non comprendevano.  
Ho accennato inoltre al fatto che egli, in modo del tutto inconscio, per negazione delle nazionalità intende il loro assorbimento nella nazione francese modello [si sostituisca “francese” con “tedesca” o “americana”, ndr] (MEW, 31; 228-29).
[Rileggetevi il periodo precedente due volte, quindi chiedetevi la relazione tra il Fogno europeo, i valori pacifisti e democratici  (?) e il ruolo degli intellettuali (?)..., ndr]

Siamo portati a pensare all’ironia con cui, quasi vent’anni prima, le declamazioni cosmopolitiche e internazionaliste di Blanc erano state affrontate da Engels. Il quale ultimo compie un ulteriore processo di maturazione. 
In un testo del 1866 egli rimprovera agli illuministi francesi di essersi lasciati abbindolare dalla politica di Caterina II e dello zarismo in genere. In Polonia la Russia si ergeva a protettrice degli ortodossi. Ortodossi erano soprattutto i servi della gleba, ed ecco allora che la Russia, assieme alla bandiera della «tolleranza religiosa», non esitava ad agitare anche quella della rivoluzione sociale; essa interveniva nel paese oggetto delle sue brame «in nome del diritto della rivoluzione, armando i servi della gleba contro i loro signori» [“Varsavia Ladrona, Caterina II non perdona”, “il magna-magna dei signori”, “devono andare via tutti!”, ecc., ndr]: ecco un «modello di guerra di classe», ovvero di «guerra di classe contro classe» (MEW, 16; 161-62).
[Insomma, livorosi di ogni partito e fazione possibili: siete sicuri di fare gli interessi del popolo sovrano quando vi accanite contro la “partitocrazia”?, ndr]
Come si vede, nel caso ignori o rimuova la questione nazionale, la parola d’ordine più rivoluzionaria e più internazionalista [più Europa!, ndr], agitata dallo stesso Marx in Miseria della filosofia (supra, cap. IV, § 3), può trasformarsi in uno strumento di legittimazione dello sciovinismo e dell’espansionismo [tedesco e americano?, ndr]
L’analisi di Engels coglie nel segno. Si può solo aggiungere che in modo simile a Caterina II si atteggiava Federico II di Prussia, che, rivolgendosi ai philosophes, così giustificava la sua campagna contro la Polonia: «i padroni vi esercitano la più crudele tirannia sugli schiavi [I costi della politica! La burocrazia! La corruzione!, ndr]» (in Diaz 1962, p. 493, n. 1). […]

[Ora, cari “progressisti dell'indistinto”, fate attenzione alla relazione tra progresso sociale e antinazionalismo..., ndr]
Sulla tematica in questione l’ultimo Engels riflette in profondità. Leggiamo la lettera a Karl Kautsky del 7 febbraio 1882
«Un movimento internazionale del proletariato è possibile solo tra nazioni indipendenti», così come una «cooperazione internazionale è possibile solo tra eguali» (MEW, 35; 270). 
È una tesi ribadita con forza dieci anni dopo: «Una sincera collaborazione internazionale delle nazioni europee è possibile solo quando ogni singola nazione è del tutto autonoma nel suo territorio nazionale».
Pare proprio che nel 1882 Engels avesse compreso meglio il senso dell'internazionalismo definito nel nostro art.11 Cost. che tutta la banda di internazionalisti "senza se e senza ma" che ha difeso il progetto europeista da “sinistra”.

4 – L'internazionalismo repubblicano come forma di “democratismo imperiale”.
Continua Losurdo, con “dedica della redazione” ai “rivoluzionari-internazionalisti-di-Schengen”:
Mettendosi alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale, il «proletariato polacco» svolge un ruolo anche internazionalista, in quanto getta le fondamenta per una cooperazione diversamente impossibile (MEW, 4; 588). Sì – Engels ripete due anni prima della sua morte – «senza l’autonomia e l’unità restituite a ciascuna nazione europea» non è possibile «l’unione internazionale del proletariato» (MEW, 4; 590).
Il pericolo sciovinista non risiede nelle nazioni che ostinatamente lottano per la loro liberazione:
«Sono dell’opinione che in Europa due nazioni hanno non solo il diritto ma anche il dovere di essere nazionali prima ancora che internazionali: sono gli irlandesi e i polacchi. Essi sono internazionali nel senso migliore del termine allorché sono autenticamente nazionali (MEW, 35; 271).
No, il pericolo sciovinista è paradossalmente rappresentato dal sedicente «internazionalismo repubblicano [leggi “liberale”, ndr]» che, per esempio, attribuisce alla Francia [ovvero agli USA, ndr], in virtù delle sue glorie rivoluzionarie, una «missione di liberazione mondiale»: a uno sguardo più attento, l’«internazionalismo repubblicano» si rivela un esaltato «sciovinismo francese» [...americano, ndr] (MEW, 35; 270). 
È una regola generale: allorché ignora la questione nazionale, l’internazionalismo si rovescia nel suo contrario; la rimozione delle particolarità nazionali in nome di un astratto «internazionalismo» rende più facile per una nazione determinata di presentarsi come l’incarnazione dell’universale, e in ciò per l’appunto consiste lo sciovinismo e anzi lo sciovinismo più esaltato.

5 – Le ragioni dell'indipendentismo in funzione al contesto storico politico.
Giusto per capire cosa sia la “sinistra internazionalista” oggi. Losurdo prosegue e aggiunge:
Più matura è la seconda formulazione cui fa ricorso Lenin. Dopo aver ricordato l’appoggio di Marx ed Engels agli irlandesi e ai polacchi, ma non ai «cechi» e agli «slavi meridionali» (e ai croati) in quel momento «avamposti dello zarismo», (nel luglio 1916) egli così prosegue:
«Le singole rivendicazioni della democrazia, compresa l’autodecisione, non sono un assoluto, ma una particella del complesso del movimento democratico (oggi: del complesso del movimento socialista mondiale). È possibile che, in singoli casi determinati, la particella sia in contraddizione col tutto, e allora bisogna respingerla. È possibile che il movimento repubblicano di un paese sia soltanto uno strumento degli intrighi clericali o finanziari, monarchici di altri paesi; allora non dovremo sostenere quel dato movimento concreto, ma sarebbe ridicolo cancellare per questa ragione dal programma della socialdemocrazia internazionale la parola d’ordine della repubblica (LO, 22; 339).
[Facciano una riflessione coloro che straparlano di nazionalismo tout court, magari strambando dal progressismo più cosmetico alla rivalutazione di Maggy Thatcher perché “nazional-patriottica”, ndr]
A contrapporsi qui non sono «questione nazionale» e «questione operaia», bensì la «particella» e il tutto. In quanto sottoposte alla strumentalizzazione e al controllo dello zarismo [oggi lo “zarismo” potrebbe essere quello del Washington Consensus, ndr], le aspirazioni nazionali dei cechi (e dei croati) [dei catalani (e degli scozzesi), ndr] risultano prive di legittimità già facendo esclusivo riferimento alla «questione nazionale»: sono una «particella» che entra in contraddizione col complessivo movimento di emancipazione nazionale, di cui la Russia zarista costituisce il nemico principale. Che il tutto sia rappresentato, per usare il linguaggio di Lenin, dal «movimento democratico» borghese o dal «movimento socialista mondiale», in nessun caso è eludibile il problema della subordinazione della «particella» al tutto. E, naturalmente, la soluzione di tale problema non è univoca e non è priva di contraddizioni.”
Lenin sottolinea che «i movimenti delle piccole nazionalità» possono essere manovrati «a proprio vantaggio» dallo «zarismo» o dal «bonapartismo» (LO, 22; 340 nota). Ovvero – possiamo aggiungere – dall’imperialismo”.

5 – Autodeterminazione e politiche imperialiste della frammentazione: un tragedia.
È da sottolineare un ulteriore aspetto: latente negli autori del Manifesto del partito comunista, diviene ora chiara la visione tragica del processo storico e della stessa lotta di classe. Si ha tragedia (nel senso filosofico del termine)[2] allorché si fronteggiano non il diritto e il torto, bensì due diversi diritti, anche se tra loro disuguali, e talvolta nettamente disuguali.  
Le rivendicazioni nazionali dei cechi o di altre nazionalità possono smarrire la loro legittimità, non perché in sé prive di fondamento, ma in quanto assorbite da una realtà più potente, che costituisce una minaccia ben più grave per la libertà e l’emancipazione delle nazioni. [Un pensiero non può non correre all'attuale conflitto in Ucraina, ndr]
Di tutto ciò è chiamato a tener conto il «tribuno popolare», che diviene così il protagonista di una lotta di classe, dalle forme incessantemente cangianti
Il perseguimento dell’universale (l’edificazione di una società finalmente liberata da ogni forma di sfruttamento e di dominio) si concretizza in un impegno sempre determinato, che prende di mira e contrasta la guerra, il fascismo, l’espansionismo coloniale e l’oppressione nazionale.”

Tragedia, dunque, in senso filosofico, è – sotto i vincoli economici di euro e trattati di libero scambio –  il (legittimo) intento di far rispettare i principi fondamentali costituzionali.
Ora, a tutta la sinistra che è – o è stata!schengeniana e internazionalista: l'indipendentismo catalano, scozzese, ma anche veneto o meridionalista, sono di per sé rivendicazioni per cui il “secessionista” che si riconosce in queste identità, può essere oggetto di astio, scherno e, in qualche modo, tacciato di “minorità intellettuale e politica”, ricevendo un trattamento diverso da chi ha sostenuto l'internazionalismo, l'europeismo e il mondialismo antinazionale?[3]

In altri termini, stando a questa ricca serie di citazioni di socialisti marxiani ortodossi, possiamo sostenere che c'è differenza nell'etica politica tra l' “indipendentista” e lo “schengeniano”? 
Qual'è la differenza se entrambi, partendo da presupposti solo apparentemente opposti, perseguono obiettivi coincidenti rispetto alla indifferenza sulla giustizia sociale, considerata comunque sacrificabile in nome dei mercati? 
Se cioè entrambi, - nascondendo dietro a astratte formule ideali la rivendicazione di una libertà individualista, quindi limitata alla tutela di interessi economici incontestabili e definiti in conformità al neoliberismo - riaffermano un imperialismo in senso materiale (cioè antitetico allo Stato-nazione)?
Se cioè entrambi, sul piano dei valori inevitabilmente "sottostanti", si fanno alfieri di un "universalismo libertario" servente, in definitiva, gli interessi oligarchici di una o poche nazioni "eminenti", che dominano l'intero processo e si presentano come "l'incarnazione dell'universale"?

Quale dei due archetipi, sino ad ora, Lenin avrebbe escluso dall'appellativo di “utile idiota” del capitalismo sfrenato e dell'imperialismo? Chi può vantare una superiorità intellettuale, o, peggio, morale?


(2- Continua...)



[1]      Ricorre ancora il pensiero sulle fratellanze mondialiste...
[2]      La tragedia, in epoca di neoliberismo, si è trasformata notoriamente in farsa.
[3]      Si noti come l'internazionalismo comporti semanticamente l'esistenza cooperativa di una moltitudine di Stati nazionali, mentre l'antinazionalismo intrinseco nel “federalismo interstatuale”, ne sia esattamente antitetico.

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